CIAO PIERO

pendola

Questa però me la devi spiegare, Signore.

Sì perché adesso basta nascondersi dietro il dito del libero arbitrio. Se sei, come si dice, davvero onnipotente allora perché la tua potenza non può impedire che talune cose accadano?

Non ne faccio una questione di interesse, per carità, ma almeno di coerenza.

Insomma, Signore, arriva un bel momento nella vita in cui anche tu devi assumerti le tue responsabilità: sì, ce lo devi proprio. Anche perché adesso, noi, qui, dobbiamo trovare qualcuno a cui dare la colpa. E francamente a noi, adesso e qui, non viene in mente altri se non te. Hai capito bene: una vera e propria colpa.

La colpa di un vuoto che non lascia fiato se non per piangere.

Perché Piero, e tu Signore lo sai bene, non riempiva i suoi spazi così tanto per fare. La sua presenza, la sua essenza, la sua impronta erano dense di una sorta di eleganza manierata che sapeva di tabacco, di mentolo e di vita vissuta; un vero e proprio “stile” ma declinato secondo un’accezione che, paradossalmente, ne identificava la sostanza, l’impasto, la materia e non solo la semplice ed evanescente apparenza. Non è facile da spiegare, lo comprendo, ma bisogna pur provarci in qualche modo.

Lo stile di Piero, era la sua personalità ma anche la sua corporeità nei modi, nelle azioni, nelle parole, nelle soluzioni, nei compromessi, nella gioia e nel dolore di una vita non sempre grata. Ecco: lui era lì sempre con giacca e cravatta ma, quando lo doveva fare (e a volte lo si deve fare), si tirava su le maniche, per non sporcarsi i polsini, e infilava le mani nel brutto di questo pianeta. Sissignore e, per quanto è vero il creato, puoi giurarci che quei polsini rimanevano immacolati anche con le mani che ravanavano la più fetente delle fogne.

Più o meno il Piero che ti sei voluto riprendere, Signore, era una cosa così. E scusa se è poco.

Capirai come colmare un vuoto del genere non sia possibile. Il solo atto di descriverlo comporta, da parte di chi ci prova, il sacrificio di una parte dei suoi ricordi al fine, quanto mai ambizioso, di divulgarli. Perché raccontare una persona come lui non si può fare solo con le parole. Per disegnare Piero è necessario che chi l’ha conosciuto ci metta un po’ della sua anima togliendola a sé stesso per mostrarla, come fosse inchiostro, a coloro che incuriositi ne osservano l’immagine formarsi. E’ questo l’unico modo per far arrivare al mondo il ritratto, il meno stucchevole possibile, di una persona straordinaria.

E allora facciamolo, dai: liberiamoci di questo fardello e diciamo al mondo che Piero dietro, davanti, intorno, sopra, sotto e dentro di sé lascia tutta una serie di testimonianze che possono generare qualsivoglia reazione eccetto l’indifferenza. Come un tuono inaspettato col cielo sereno.

Non voglio fare di queste poche righe il classico resoconto da contabili del necrologio elencando, come in un bilancio, quel che ha fatto, come lo ha fatto e quante ne ha fatte. Sarebbe troppo facile. Per questo ci sono fior di specialisti e poi, se non bastasse, c’è la città che lo sa e lo ringrazierà in eterno.

La mia testimonianza su Piero va ben oltre le pur notevoli ed esemplari fatiche terrene. Era, anzi è, l’incarnazione di un mondo che sarebbe troppo sbrigativo definire “d’altri tempi”. Non è così. Certi modi di essere non hanno tempo e nemmeno spazio (fattene una ragione, Signore, visto che ce l’hai tolto). Sono eterne tanto quanto te e forse anche di più.

Bene. Vorrei andare avanti ma ogni parola è un grammo di anima in meno e, sinceramente, non voglio levarmene più. E comunque ci siamo capiti, vero?

(Ma detto tra noi, Signore, lo vuoi sapere qual è la cosa che più ci mancherà? E’ quel suo sorriso un po’ malandrino con il quale si faceva beffe degli affronti del destino. Quello ghigno, simpatico e impunito, ora ce l’hai tutto per te, ce l’hai rubato con l’inganno. Ma in cambio pagherai un caro prezzo, non ti credere: sei accusato di colpevole sottrazione di persona straordinaria e, di questa colpa, non sarà così facile giustificarsi quando sarà il momento di guardarci negli occhi, ad uno ad uno, noi orfani rimasti a guardare una panchina ormai vuota).

I Volontari